Ogni innovazione tecnologica porta con sé elementi positivi e negativi. Se i droni ad uso civile stanno rivoluzionando in meglio molti aspetti delle vita quotidiana di milioni di persone, c’è un ambito di cui si parla poco ma che lascia intravedere scenari inquietanti: i droni armati. Immaginate che al posto delle normali telecamere siano posizionati missili, bombe o potenti mitragliatrici capaci di colpire con estrema precisione un avamposto nemico. No, no è fantascienza sfortunatamente.
Le implicazioni etiche sono estremamente gravi. Se finora parliamo esclusivamente di ambito militare, cosa succederebbe se armi volanti di tale potenza finissero nelle mani sbagliate? Quali conseguenze ne deriverebbero in termini di vite umane da un proliferazione senza freni? Di chi sarebbe la colpa? L’industria bellica è storicamente una delle più potenti al mondo e per questo molto difficile da controllare per i giganteschi interessi economici e politici in ballo e ad aggravare il quadro c’è la quasi totale assenza di norme internazionali accettate da tutti.
Uso militare e le gravi implicazioni etiche
Sono ormai diversi anni che le maggiori potenze mondiali (Usa, Israele, Cina, Francia, India, Germania) investono fiumi di denaro per potenziare la flotta bellica e gli investimenti nei sistemi a pilotaggio remoto in grado di colpire a centinaia di chilometri di distanza con conseguenze devastanti sono tra i “protagonisti” indiscussi.
Si stima che l’industria dei droni militari negli Stati Uniti varrà ben 21 miliardi di dollari entro il 2025 e questi velivoli potrebbero rappresentare quasi la metà della flotta aerea entro il 2035. Una tendenza simile sembra registrarsi anche in Europa dove si stima che rappresenteranno circa 1/3 degli aerei militari entro il 2050 con un “parco” di 3.0000 velivoli.
D’altronde sono già diversi anni che gli Usa producono e vendono anche ai Paesi alleati droni militati di ultima generazione come il Predator, il Reaper, o il Global. Se fino a questo momento, tuttavia, venivano impiegati (almeno ufficialmente) in operazioni di ricognizione o spionaggio, sfortunatamente tutto lascia pensare che siamo arrivati davvero al “salto di qualità”: trasformarli in devastanti armi di offesa.
Ridurre le perdite di uomini sul campo e ottenere, allo stesso tempo, il miglior risultato militare possibile è la sfida nella quale tutti i più importanti Paesi del mondo si sono lanciati da tempo. La lotta al terrorismo internazionale poi è la “molla” che ha accelerato ancora di più questo processo. Si tratta, indubbiamente di uno scenario estremamente complesso e difficile da delineare, ma dalle tinte alquanto fosche.
Droni armati, Heron Tp e Tikad: fuoco dall’aria
Israele è uno degli Stati in prima linea nella progettazione e realizzazione di potentissimi droni ad uso militare. I droni Heron Tp sono velivoli enormi lunghi ben 14 metri e con una apertura alare di 26 (quasi quanto quella di un Boeing 737) in grado di volare fino a 13 950 m di quota e ad una velocità di 400 km/h. Hanno un’autonomia di volo di ben 30 ore ed una capacità di carico- tra cui anche potenti missili- di oltre 1 tonnellata.
Sempre Israele ha progettato il Tikad, un ottocottero armato dotato di un fucile d’assalto che può essere utilizzato per eseguire operazioni anti-terrorismo. Il velivolo è stato sviluppato dalla società Duke Robotics (fondata da Raziel Atual ex comandante delle forze speciali israeliane) specializzata nello sviluppo di sistemi robotici aerei per la moderna guerra asimmetrica. Mediante un sistema FVP di ultima generazione è possibile individuare a distanza il nemico e attivare il mitra per colpire con una precisione millimetrica. La tecnologia di stabilizzazione robotica consente al Tikad di assorbire il rinculo dell’arma, con il puntamento mirato e precisione di tiro per proteggere le truppe in una varietà di situazioni pericolose.
Sul finire del 2017, l’azienda ha annunciato che il Ministero della Difesa israeliano ha approvato il drone Tikad come tecnologia innovativa per il futuro campo di battaglia.